Acque

Le acque di Francesco Toniutti non scorrono, rilucono. Sono acque ferme nella sua memoria. 

A scorrere attraverso il tempo sono i ricordi di una vita piena, dai mille colori, come le acque vivide – ma non trasparenti – che il pittore dipinge dense di materia. Sono acque cariche di presenze, acque dei fiumi dell’infanzia trascorsa a giocare, d’estate, sulle sponde del Tagliamento; sono le acque dell’Isonzo, attraversato durante un viaggio in Slovenia, o del Tevere incrociato in un pomeriggio assolato, ma sono anche quelle più tranquille della laguna veneta, da Chioggia a Venezia.

Toniutti si lascia provocare dalla realtà che incontra e poi la dipinge, di getto, sulla tela. «Il quadro esce in tre sedute – mi spiega – nella prima vado di impulso, sulla base di immagini fotografiche che ho scattato; nella seconda torno sul lavoro, guardo, correggo, aggiungo o sottraggo colore. Nella terza – ma non è una regola fissa, potrebbe essercene anche una in più o in meno – mi autocensuro cercando di non caricare troppo, di semplificare». 

Nel suo gesto espressionista – che deriva dalla tradizione europea di Nicolas De Staël fino ai tedeschi contemporanei – la pittura diventa un modo per dire di sé, il racconto della sua anima. Ed è a questo punto che il collegamento tra mente, cuore e mano si nutre di poesia. Toniutti legge e rilegge i poeti a lui più cari, Thomas Eliot, Mario Luzi, Giuseppe Ungaretti, Pier Paolo Pasolini, William Shakespeare e cerca nelle loro visioni la sua. Tra parole e immagini, memoria e desiderio, si colloca la sua poetica, il suo già e non ancora.

Francesco Toniutti è un friulano tenace. A prima vista lo si direbbe una roccia, come quelle delle sue montagne ma, a guardare meglio, è proprio l’acqua l’elemento che meglio definisce il suo essere costante, il suo passare rimanendo immutato. Il suo generare. Tutta la sua vita, da trent’anni in qua, lo dimostra: radicato nella terra e nelle tradizioni dei suoi avi; innamorato da sempre di Valentina, sua moglie e madre dei suoi cinque figli; legato agli stessi amici fin dai tempi dell’Accademia; fedele alla pittura, un gesto che custodisce con fermezza, nonostante tutto. 

I fiumi lo hanno sempre attratto. Il fascino è forse in quel loro andarsene restando, in quel loro essere una sorta di rappresentazione fisica della storia, che è tale in quanto passa. 

«Questo nuovo ciclo di lavori è nato ripensando a mio padre Valentino – ricorda Toniutti – alle acque del fiume Tagliamento, in Friuli, dove papà portava me e mio fratello d’estate. A Pinzano, vicino a San Daniele, l’acqua è bassa, ma la corrente è molto forte; il fiume si apre in tanti rivoli, che si fanno strada tra sassi bianchi». 

Per il pittore dipingere il Tagliamento, che suo padre attraversava ogni giorno varcando il ponte che collega San Vito di Fagagna a Spilimbergo, dove frequentava la scuola di mosaico, è come reimmergersi nel fiume della storia, quello stesso fiume, la sponda destra del Tagliamento, descritto da Pasolini nelle poesie in lingua friulana e nel suo primo romanzo Il Sogno di una cosa. Anche il padre di Toniutti, come i protagonisti del romanzo, emigra dal Friuli e arriva a Milano nei primi anni Cinquanta. Si stabilisce a Bollate e qui fonda, in seguito, la sezione locale dell’Associazione Fogolâr Furlán. «Il Tagliamento è l’unico fiume europeo non canalizzato – racconta Francesco – è un fiume selvaggio, impossibile da imbrigliare; è un dio indomabile come la vita». 

Le acque di Toniutti scorrono tra aride pozzanghere, per poi rinascere tra le secche – come canta Luzi – soprattutto sono acque di “radiosa incandescenza”, di luce e opacità nel bianco dell’aria, di “festoso scintillamento”. Si avverte la gioia provata dal pittore nel mescolare i colori sulla tela e balza agli occhi la sua inconfondibile tavolozza, felice nell’accostare i blu con i gialli, i verdi con gli arancioni. Un piccolo capolavoro di armonia cromatica di rosa e azzurri è la grande tela ispirata alla laguna di Chioggia, terra natale della moglie.

«I miei quadri nascono dopo un’esperienza – dice Toniutti – dopo qualcosa che si manifesta, che mi attraversa, che arriva da prima e mi sopravanza». Come per il pittore, così per il poeta, la creazione è un mettere a nudo la propria intimità. Scriveva Ungaretti ne I Fiumi il 16 agosto 1916: «(…) Stamani mi sono disteso/ In un’urna d’acqua/ E come una reliquia/ Ho riposato (…) L’Isonzo scorrendo/ Mi levigava/ Come un suo sasso/ Ho tirato su/ Le mie quattro ossa/ E me ne sono andato/ Come un acrobata/ Sull’acqua (…)». 

Come il poeta, così il pittore racconta la sua fragilità d’essere umano, in cui si riverbera, però, un destino glorioso. Toniutti non dipinge la natura, la trasfigura.

Milano, 13 marzo 2023

Marina Mojana

Lascia un commento