Ritratto d’artista

Ha un temperamento da grande sognatore, Francesco Toniutti. Un sognatore a occhi aperti. Anzi, a occhi sgranati. La sua storia artistica è tutta legata a questa sua natura, che lo porta a lasciarsi sorprendere dalla realtà in modo sempre del tutto libero e disinteressato. Toniutti è pittore, nel senso antico del termine. Ama le immagini, ma soprattutto ama quella magia grazie alla quale le immagini si trasfigurano in materia sulla tela. La sua parabola artistica è tutta legata alla città di adozione, Milano. Una Milano che Toniutti ha assorbito e da cui si è lasciato assorbire. «Siamo ospiti, siamo ospitati e questo credo sia uno dei dati elementari tra i più dimenticati», dice parlando non solo del mondo ma anche di sé. La pittura ha quindi una funzione riparatrice, rispetto a questa dimenticanza. Essere «ospiti ospitati» comporta un atteggiamento di gratitudine e anche di riverenza rispetto a ciò che ci ospita. Possono essere luoghi, e nel percorso di Toniutti sono molto spesso luoghi, ma possono essere persone, conosciute o anche solo intercettate, verso le quali va il suo sguardo aprioristicamente pieno di simpatia. A volte persone e luoghi si innestano l’uno nell’altro, e per Toniutti scatta una dimensione di stupore a livello apicale. È accaduto, per esempio, in occasione della lunga indagine realizzata tra i monumenti che popolano le piazze di Milano: una serie di quadri in cui la gratitudine rispetto al luogo va a sommarsi a quella nei confronti dei personaggi che, dall’alto della loro personalità, tanto hanno lasciato alla vita della città. «Cogliere i segni che rimandano alla storia di un luogo, di una città, per meglio indagarne l’identità, e attraverso questo indagare se stessi, è uno degli aspetti che interessano il mio lavoro», racconta Toniutti. Sempre con un senso di gratitudine verso gli «ospitanti»: Giuseppe Verdi o Cesare Beccaria, presenze di bronzo nei quadrivi della città. Sono monumenti che per questo, allo sguardo di Toniutti, si animano partecipando alla vita concitata della città. C’è un altro luogo di Milano che Toniutti ha molto amato. E anche in questo caso, il luogo si connota proprio per una natura impagabilmente ospitale. È la Galleria Vittorio Emanuele, già teatro di tante grandi prove della pittura futurista. Architettura monumentale, che alla fine si rivela la più grande casa della città. «Cos’è stata, cos’è questa Galleria?», si chiede Toniutti con quel trasporto schivo che lo contraddistingue. «È immagine da cartolina, vetrina del lusso, ma anche “cortile del popolo”. Passaggio di celebrità della Scala, di scrittori e aspiranti famosi, teatro delle scorribande dei futuristi che ci hanno lasciato capolavori a essa ispirati, grande occhio che ha visto le follie della guerra, le contestazioni e le violenze, luogo di discussione politica. Chissà se oggi la pittura può trattenere dentro di sé queste storie, queste voci, “traducendo” in grido, attraverso il colore e il segno, il percorso della luce e della vita che si sprigiona da questo singolare microcosmo… ». Questo è un po’ il suo sogno. Che persegue cercando di piegare la tecnica pittorica a questa missione di trattenere volti e storie. Forse per questo la sua è una pittura sempre filamentosa, come ereditata dalla tradizione pacata del divisionismo lombardo e piemontese. È una pittura che non prevarica mai sulle immagini, che le indaga con molta discrezione. Dipingendole sembra volerle cucire a sé e alla propria vita. Lui si spiega così: «Lo strumento dell’indagine è la pittura e la pittura è viva se porta dentro sé, trasfigurandolo, il dato reale». All’inizio c’è dunque, sempre, qualcosa di «avvistato»; c’è qualcosa che, da fuori, ha intercettato e folgorato il suo sguardo. Questo qualcosa può anche appartenere alla memoria, come nel caso di un mito qual è Jackie Stewart. Un mito intravisto nella nostra gioventù che ma continua ad attraversare lo spazio del nostro immaginario, con quel suo sogno di essere sempre più veloce. Di bucare lo spazio con la precisione di un proiettile. Il sogno di essere elegante e perfetto, cavalcando un motore di potenza quasi indomabile. Stewart ha attraversato anche l’immaginario di Toniutti, che se ne è lasciato incantare, con quella sincerità che è la forza prima della sua pittura. E lo fa essere ogni volta semplice, immediato e stupito di ciò che ha la fortuna di poter dipingere.

Giuseppe Frangi (per la rivista “Arbiter”)

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